Tel Aviv-Yafo – Gerusalemme – Ramallah. Un conflitto religioso e sociale. Ma non solo. Israele e Palestina: la storia di una terra contesa. I bombardamenti tra Israele e Gaza proseguono ancora oggi e si teme una nuova guerra. Ecco perché il conflitto tra israeliani e palestinesi dura da decenni: israeliani e palestinesi si contendono il diritto di determinare il proprio destino nello stesso lembo di terra. E se il Medio Oriente è “il ring del mondo”, come l’ha definito lo storico Yuval Noah Harari, è anche a causa di questo lungo e irrisolto conflitto. Cos’è accaduto? E perché?
Tel Aviv-Yafo È una città israeliana situata sulla costa del mar Mediterraneo. Tel Aviv è anche il centro dell’area metropolitana più grande e popolosa in Israele, denominata Gush Dan (Blocco di Dan). È il principale centro economico di Israele. È stata la capitale d’Israele dal 1948 al dicembre 1949 ed è ancora sede della maggior parte delle ambasciate straniere presso quello Stato, dato che la proclamazione da parte di Israele di Gerusalemme come capitale non è riconosciuta da diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e un numero limitato di Stati ha l’ambasciata in tale città[4]. Comunque, le mappe ONU non indicano nessuna capitale di Israele, quindi neppure Tel Aviv. (Robert Byron, La via per l’Oxiana) Fondata nel 1909 da un gruppo di residenti della vicina città di Giaffa [8] , guidati dal futuro sindaco Meir Dizengoff, il nome della città fa riferimento a un passo della Bibbia: nel Libro di Ezechiele, infatti la “collina della primavera” è proprio il luogo dove – nella visione del profeta – trovano casa gli ebrei in esilio. Sessanta famiglie celebrarono l’atto fondativo della nuova città: si riunirono sulla spiaggia ed estrassero a sorte il lotto di terra che spettava a ciascuna. Oggi tali abitazioni sopravvivono protette ai piedi dei grattacieli, o addirittura incastonate nella struttura urbanistica moderna [9] . Nell’edificazione della città i costruttori si ispirarono all’ideale della “città giardino”, reinterpretato poi dalla corrente del Bauhaus (tanto che Tel Aviv nel 2004 è stata riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità). Tel Aviv è tendenzialmente considerata la principale roccaforte liberale e secolare del paese. La città è considerata una delle più gay-friendly del mondo e ospita il più frequentato e popolare gay pride dell’Asia. Da un punto di vista religioso, la componente laica rappresenta la maggioranza della popolazione, costituendo nel 2006 il 57,5% (rispetto ad una media nazionale di poco più del 40%), seguiti da un 36,4% di tradizionalisti (il 26,4% dei quali definitisi non religiosi) e da un 5,3% di religiosi. Gli ultra-ortodossi rappresentavano meno dell’1% degli abitanti. Giaffa è sede di gran parte della minoranza araba della città, costituita da cristiani e musulmani. Un detto popolare israeliano recita: “Gerusalemme prega e Tel Aviv si diverte”. Niente di più vero, dato che la metropoli israeliana è il centro più vivace di tutto il Paese. Perdersi tra i vicoli costeggiati di case bianche in stile Bauhaus è un’esperienza che vale la pena fare e permette di capire perché la luminosità degli edifici le ha fatto guadagnare l’appellativo di Città Bianca. Non tutti sanno che Tel Aviv è una città perfetta per essere percorsa in bicicletta, mezzo di trasporto molto amato dagli abitanti. Numerose le piste ciclabili, che permettono di visitare la città senza problemi. Così, si può iniziare pedalando verso sud, sul lungomare (Herbert Samuel Blvd) che collega le spiagge pubbliche della città con la vecchia Giaffa. Lungo la pista ciclabile di Rothschild Blv, invece, si arriva dentro al cuore della Città Bianca, dove godere della vista degli splendidi edifici. Proseguendo, lungo una pista ciclabile che attraversa la costa sud del fiume Yarkon, si giunge fino al porto. Tel Aviv è una città ricca di eventi e di festival tutto l’anno. Uno degli appuntamenti cittadini più importanti è l’International Tiberias Marathon, che attrae migliaia di partecipanti e di sostenitori sia dal Paese che da ogni parte del mondo. Il percorso dei maratoneti è particolarmente ricco di attrazioni, perché si snoda attraverso i quartieri storici della Valle del Giordano. Un altro appuntamento fisso è il Khutzot Hayotzer Arts and Crafts Fair, che si tiene a Tel Aviv a luglio. La manifestazione dedicata agli aerei tradizionali e a quelli iper moderni, viene allestita vicino alla pisca del Sultano, appena fuori dalle mura cittadine. Ad agosto, invece, il Jaffa Nights in Tel Aviv offre ai turisti la possibilità di una full immersion nelle tradizioni culturali israeliane: dalla musica alla danza, passando per il teatro. La manifestazione dura quattro giorni e il programma è sempre molto ricco e vario. Da non perdere, infine, l’IsraWinExpo, che si tiene a ottobre ed è dedicata al vino. Ramallah Ramallah (in arabo: رام, Rām Allāh, che significa “Monte di Dio” o, più propriamente, “Casa di Dio”, in ebraico רמאללה (è una città palestinese di circa 27.092 abitanti, situata nel centro della Cisgiordania sui monti della Giudea a circa 18 km a nord di Gerusalemme. È de facto la capitale dello Stato di Palestina. Gli arabi palestinesi considerano come loro capitale al-Quds (lett. “la Santa”, cioè Gerusalemme). Ciò nondimeno, la perdurante situazione di precarietà e di conflitto con lo Stato d’Israele, unitamente alla sostanziale assenza di un vero e proprio Stato palestinese, ha fatto di Rāmallāh la capitale tacitamente provvisoria dell’Amministrazione palestinese. A Rāmallāh hanno sede il Parlamento palestinese, diversi Ministeri, le rappresentanze diplomatiche straniere (sotto forma prevalentemente di consolati), così come la cosiddetta Muqāṭaʿa (in arabo: اط, al-Muqāṭaʿa, “la Separata”), cioè il complesso di edifici che ospita, tra l’altro, la sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’ufficio principale del presidente Mahmūd Abbās e il mausoleo che conserva la salma dell’ex leader palestinese Yāsser ʿArafāt, inaugurato, ufficialmente, il 10 novembre 2007, alla vigilia del terzo anniversario della sua morte. La Parigi della Cisgiordania. Precedentemente allo scoppio della Prima Intifada, Rāmallāh era considerata la “Parigi della Cisgiordania”, perché ricca di ristoranti, caffè e locali, che ne rendevano la vita serale e notturna particolarmente vivace. È una città tendenzialmente aperta a culture differenti da quella islamica, grazie anche alla significativa presenza di arabi cristiani: in molti ristoranti di Rāmallāh si può ordinare il vino, cosa impossibile in altre aree della stessa Cisgiordania, come Hebron, o nella striscia di Gaza, dove l’influenza dell’Islam, che proibisce l’alcol, è più radicale. A Hebron non ci sono sale cinematografiche, proibite dall’Islam più intransigente, mentre Rāmallāh ha dei cinema nei quali, oltre alle normali pellicole del circuito arabo e internazionale, si realizzano anche festival e proiezioni cosiddette d’essai. Inoltre non è impossibile imbattersi in sfilate di moda o concerti Hip Hop. Ramallah, anima e cuore della Palestina sede dell’Autorità palestinese, del Parlamento e dei ministeri, è anche questo: strade affollate di auto coreane, vita notturna, ristoranti eleganti, feste, concerti e rassegne culturali. La sua modernità e la sua convivenza pacifica per il momento sembrano in grado di tenere lontano, almeno qui, lo spettro di un conflitto sanguinoso e ancora vivo (si veda la Striscia di Gaza, ndr) che da più di mezzo secolo oppone Israele e i Territori palestinesi. Cisgiordania, o Giudea e Samaria, o West Bank, «sponda occidentale» del fiume Giordano. Arcipelago Palestina, o anche territori occupati, «parzialmente», da Israele, o territori israeliani sotto amministrazione palestinese. Dipenderà sempre da quale parte verrà letta e raccontata questa storia. Sta di fatto che quella tra israeliani e palestinesi è una storia infinita. Un contorto groviglio di odi, torti, ragioni, rivendicazioni e vendette. Che nel tempo hanno solo allargato la frattura e fatto crescere muri, ampliare i fossati, ed esplodere le guerre. E poi c’è il muro a rendere la vita complicata, difficile. Anche dolorosa, quando per spostarsi da un punto all’altro, anche solo per farsi ricoverare in un ospedale, bisogna avere in mano un permesso israeliano per attraversare settori vietati ai palestinesi. E non è detto che venga sempre rilasciato. «In Cisgiordania, solo il 6 per cento dei posti di controllo che gli israeliani hanno istituito per difendersi da noi, separano gli israeliani dai palestinesi – spiega il regista –, perché il restante 94 per cento, di fatto, divide palestinesi dai palestinesi». La Cisgiordania, in base agli accordi di pace di Oslo del 1993, è evidenziata in tre corpi «A», «B» e «C». Il settore «A», più che altro rappresentato dalle città palestinesi di Ramallah, Nablus, Tubas, Gerico, Hebron (tranne la città vecchia), Tulkarem, Qalqilya, Jenin, è sotto amministrazione e sicurezza dell’Autorità palestinese. In «B» l’amministrazione civile è sempre palestinese, ma il controllo e la sicurezza è israeliana. La «C», invece, è sotto l’esclusiva giurisdizione dell’esercito israeliano. Il fatto è che la maggior parte del territorio della West Bank si trova nel settore «C» e questo aspetto rende i settori «A» ee43 «B» delle isole senza alcun ponte di contatto diretto tra di loro, ma soltanto insediamenti dei coloni israeliani che fanno da cuscinetto. Nei 5.600 chilometri quadrati di Cisgiordania, vivono circa tre milioni di Palestinesi: i settori «A» e «B», il 40 per cento della West Bank, ospitano l’80 per cento della popolazione palestinese; nel restante 60%, nell’area «C», (circa 300mila palestinesi), ricca di risorse naturali, minerali, agricole e poi pregiata risorsa turistica per via del Mar morto, vent’anni fa i coloni israeliani erano 100 mila, oggi superano il mezzo milione e continuano ad aumentare. L’ambasciatrice palestinese Amal Jadau, a capo del Dipartimento Europa per il ministero degli Esteri della Palestina spiega: «Vivere sotto occupazione sta diventando sempre più difficile per noi palestinesi. Da quando il presidente americano Donald Trump è alla Casa Bianca, gli insediamenti dei coloni israeliani si sono quadruplicati. Trump ha anche deciso di tagliare i finanziamenti americani diretti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa), il 40 per cento del totale dei donatori internazionali. Erano risorse fondamentali per 5 milioni di rifugiati palestinesi che si nutrono, studiano e si possono curare, solo grazie ai progetti umanitari dell’Unrwa». Gerusalemme La città dove fra qualche giorno aprirà l’ambasciata statunitense è una delle più contese della storia, ed è fatta in un modo straordinario e unico Ci sono giorni in cui a Gerusalemme è difficile fare più di una decina di passi in mezz’ora, da quanta gente c’è in giro. In altri, invece, le strade si svuotano e diventa complicato fare le cose che di solito si fanno in una città: mangiare fuori, prendere un taxi, andare al cinema, e così via. Gerusalemme è una città dove può succedere di tutto e non succedere niente, in cui si trovano i principali siti di culto di tre delle principali religioni del mondo, piena di turisti in tutti i periodi dell’anno ma militarizzata come poche metropoli al mondo. Contraddizioni e sconvolgimenti fanno parte della storia di Gerusalemme. Nel 70 d.C. la città fu il centro della rivolta degli ebrei contro l’Impero romano. Gli scontri durarono quattro anni e si conclusero con l’assedio e la distruzione del centro da parte di Tito, il figlio dell’imperatore Vespasiano. «La città venne abbattuta dalla rivoluzione, poi i Romani abbatterono la rivoluzione», scrisse anni più tardi lo storico romano di origini ebraiche Flavio Giuseppe. Nei secoli precedenti Gerusalemme era stata resa maestosa dalle tribù di Israele, distrutta dai babilonesi e occupata da Alessandro Magno; dopo l’assedio dei Romani fu conquistata dagli arabi, assediata dai crociati che cercavano il sepolcro di Gesù Cristo e infine occupata dagli ottomani, almeno fino al Ventesimo secolo. Ogni dominazione ha lasciato qualcosa. Gerusalemme è contesa da israeliani e arabi palestinesi dalla fine della Seconda guerra mondiale. I primi rivendicano di averla fondata e averci costruito il luogo più sacro per l’ebraismo, il Tempio Santo, di cui oggi rimane solo un pezzo, il cosiddetto Muro del pianto: il Muro del pianto era un basamento del Tempio, che oggi possono vedere e visitare anche i turisti rispettando alcune precise regole. I secondi, gli arabi palestinesi, l’hanno abitata per secoli, un periodo nel quale hanno costruito l’edificio più riconoscibile della città, la Cupola della roccia, cioè quella cupola d’oro che svetta guardando Gerusalemme da lontano. La Cupola della roccia e la vicina moschea di al Aqsa si trovano sulla cosiddetta “Spianata delle moschee”, cioè il luogo dove si trovava il Tempio Santo. Gerusalemme è un luogo molto importante anche per i cristiani, perché si ritiene che lì abbia vissuto per qualche tempo e sia morto Gesù Cristo: nel luogo della sua morte è stata edificata una basilica, la Chiesa del Santo Sepolcro, meta di milioni di pellegrini. La chiave dell’unico portone di ingresso alla basilica cristiana è custodita dal Dodicesimo secolo da due famiglie musulmane, i Nusayba e i Ghudayya, a dimostrazione di quanto sia concretamente complesso e intricato un posto come Gerusalemme. Tutti gli edifici religiosi più importanti si trovano nella città vecchia, uno spazio di un chilometro quadrato circondato da mura imponenti, costantemente pieno di turisti, pellegrini, soldati israeliani e venditori ambulanti. La città vecchia è divisa in quattro quartieri: ebraico, cristiano, musulmano e armeno. Le tensioni non mancano, specialmente di venerdì, quando centinaia di fedeli musulmani entrano nella città vecchia per pregare alla moschea di al Aqsa. Sia gli israeliani che gli arabi palestinesi rivendicano Gerusalemme come capitale del proprio stato. Gli ultimi negoziati arrivati vicini alla pace, nel 2000, fallirono perché nessuno aveva trovato un modo soddisfacente di spartirsi la città. La comunità internazionale ha sempre cercato di rimanere equidistante fra le richieste israeliane e quelle palestinesi – nessun paese al mondo ha la propria ambasciata in Israele a Gerusalemme – ed è per questo che la decisione di Trump è una legittimazione senza precedenti nei confronti delle rivendicazioni di Israele. In teoria la città è tagliata a metà dalla linea tracciata dopo l’armistizio del 1948, alla fine della prima guerra fra arabi palestinesi e israeliani. I territori a est della linea appartengono ai palestinesi, quelli a ovest agli israeliani. In pratica, però, Israele gestisce una fetta molto più ampia di quella che gli spetterebbe e occupa militarmente gran parte di Gerusalemme est. Lo fa dal 1967, l’anno in cui vinse la Guerra dei sei giorni conquistando praticamente tutta l’odierna Cisgiordania (poi parzialmente ceduta ai palestinesi con gli accordi di Oslo del 1993). L’occupazione di Israele ha creato una sorta di limbo per le persone che abitavano a Gerusalemme est e nel quartiere della città vecchia. Gerusalemme est è separata dal resto della Cisgiordania da un muro costruito dagli israeliani per proteggere i propri insediamenti. I suoi abitanti non sono cittadini israeliani, ma hanno un diritto di residenza permanente: questa situazione consente loro di avere una vita più facile dei palestinesi che abitano in Cisgiordania – hanno una maggiore libertà di movimento e possono usare gli stessi servizi degli israeliani – ma molti di loro raccontano spesso di subire un trattamento da cittadini di serie B. Gerusalemme ovest ha invece strade spaziose, tram ultramoderni e diversi parchi. Fra le altre cose è la sede delle principali istituzioni israeliane come la Knesset, cioè il parlamento, e i vari ministeri. L’unica cosa che la rende diversa da metropoli mediterranee come Madrid o Atene è la presenza di molte comunità di ebrei ultraortodossi, che si vedono un po’ ovunque: gli uomini e i bambini si vestono con completi neri su camicie bianche, anche se non esiste un’unica tradizione da seguire. Le donne sposate si velano il capo e portano vestiti molto lunghi. Molti di loro abitano nel quartiere di Mea Shearim, a nord-ovest della città vecchia, in cui i turisti sono invitati a vestirsi in maniera “modesta” e a non scattare fotografie durante il sabato, il giorno sacro per gli ebrei, quando in tutta la città girano pochissime persone e vengono garantiti solo i servizi essenziali.